
Vincolo paterno di Marlene Cecchi
Quel mattino del primo anno del secondo millennio, ritornò dal funerale della madre assieme all’esiguo gruppo di vicini, sul camioncino di Giuseppe. Data la vicinanza, sarebbe potuto rincasare a piedi dal cimitero, se non fosse stata una giornata torrida di quell’estate soffocante.
Rifiutò con garbo l’invito dei vicini di andare a pranzo da loro, l’unica cosa che desiderava era mettersi sotto la doccia e buttarsi sul letto a dormire, a dormire senza nessun orario, per dimenticare tutta la stanchezza, il dolore e l’assenza che già sentiva della madre settantenne, l’unica persona con cui aveva condiviso tutta la vita. Nè padre, nessun fratello o sorella, zii o nonni, tant’è così che quando compì otto anni, aveva chiesto a una coppia di anziani, i cui nipoti vivevano lontani e li visitavano solo in rare occasioni, se poteva adottarli come propri, con grande allegria dei nonni putativi.
Elio era un bambino buono, obbediente e tranquillo, che si faceva voler bene da chiunque lo conoscesse. Gli piaceva giocare da solo, più di tutto però, amava leggere i libri di storia romana, che gli aveva regalato la mamma, con grandi sacrifici, a ogni suo compleanno. Li collezionava con cura, anche i più vecchi sembravano appena comprati, la carta lucida e le illustrazioni a colori vivi. Li sfogliava, appoggiati sul tavolo della cucina dei nonni e li leggeva ad alta voce ed essi ascoltavano affascinati da tutte quelle parole che pronunciava Elio e le sue spiegazioni.
La madre, Teresa, era stata l’unica maestra di una scuola rurale, che riceveva i bambini il mattino presto con una colazione di pane e latte appena munto, offerto dai genitori di qualche scolaretto. Rimaneva nella scuola fino a tardo pomeriggio, quando qualche adulto veniva a ritirare i più piccoli.
Elio era cresciuto in campagna, fra casa e scuola e non aveva mai desiderato di intraprendere una carriera universitaria recandosi in una delle città vicine, nonostante gli incitamenti della madre a proseguire gli studi. Lui aveva già deciso di rimanere nel suo paesetto, di perfezionarsi in qualche attività agricola: si sentiva potente, quando era alla guida di un trattore o di una trebbiatrice.
Raggiunti i dieci anni, per la prima volta trovò il coraggio di chiedere alla madre chi fosse suo padre, ma dopo giorni d’insistenti domande, comprese che non glielo avrebbe mai detto. Forse anche lei lo ignorava o non voleva sapere più nulla di una storia finita ormai da almeno un decennio.
Elio non aveva mai trovato una lettera, né una fotografia, né un documento, quando, in assenza di Teresa, rovistava nei mobili, aprendo scatole, buste ingiallite, frugando sotto la carta dei cassetti foderati, fra la biancheria, scrupolosamente, un mobile dopo l’altro. Era evidente che la mancanza di ogni indizio non fosse casuale, ma una decisione ben ponderata.
Quando Elio si svegliò all’alba del giorno seguente, il suo primo pensiero fu per la madre morta e di conseguenza per l’impossibilità ormai di conoscere suo padre…
Elio aveva da poco compiuto “mezzo secolo”, come gli dicevano per prenderlo in giro e ogni anno che passava, aumentava il desiderio di sapere infine chi fosse stato suo padre.
Quella notte aveva sentito gli scrosci di un acquazzone, che aveva rinfrescato l’aria. Era una giornata radiosa e dal giardino prospiciente e dalla campagna giungeva il profumo d’erba bagnata. Elio si alzò e, prima di riprendere il lavoro giornaliero, pensò di portare un saluto, com’era sua abitudine, alla vecchia nonna acquisita, unico membro superstite della sua famiglia.
Entrò in cucina, sul tavolo fumava la sua tazza di caffellatte e la nonna, con un sorriso in ogni ruga del volto, gli porse una busta bianca, su cui era scritto ELIO, con la bella scrittura di sua madre.
Aprì la busta e ne trasse un certificato di morte a nome di Elio Cristaudo, deceduto nel 1951, unico e ultimo vincolo paterno.






- Posted by Premio Il Carro delle Muse
- On 21 Dicembre 2018
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